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mercoledì 27 maggio 2015

CLAUDIO VOLPE E "IL VUOTO INTORNO"

La scrittura è un’arte che si coltiva nel tempo. Come una pianta ha bisogno di cure per crescere. Richiede esercizio quotidiano e non sempre i risultati saranno buoni. Più volte ho iniziato a scrivere un romanzo: se nella mia mente tutto scorreva liscio, dall’incipit alla fine, trasportarlo poi sulla carta è stato sempre un grosso problema. Solo un incipit e parti sconnesse, che nell’insieme non fanno un romanzo. Ho sempre ammirato quindi gli scrittori, perché loro è il dono di immaginare una storia e trasformarla in realtà con la loro penna (o tablet), specie quando gli autori in questione hanno più o meno la mia età. Penso infatti che la gioventù renda la scrittura più vera e viva, mancano i filtri tipici dell’età adulta e le passioni sono raccontate con la foga dei vent’anni. Da poco ho finito di leggere Il vuoto intorno (Ass. culturale Il Foglio, 2011), romanzo il cui protagonista, Achille, impara a risorgere ogni volta dalle sue ceneri, autodistruggendosi e rinascendo di continuo. Un ragazzo padre che racconta al figlio down la sua vita, fatta di eccessi, amori disperati, come quello per la zingara vittima di abusi da parte del padre, fino all’abisso: una casa di appuntamenti in cui Achille inizia a prostituirsi per dimenticare il suo dolore, annullandosi totalmente nel peccato. Proprio tra gli ultimi, riscopre però la voglia di rinascere e di riprendere in mano la sua vita, partendo dal recupero del rapporto con quel figlio abbandonato da tempo.
Il vuoto intorno mi ha lasciato diversi interrogativi e per trovarvi risposta ho deciso di porre delle domande al suo autore: Claudio Volpe.




Leggendo “Il vuoto intorno” non avrei mai immaginato che l’autore avesse solo vent’anni. La storia di Achille è infatti la storia di un uomo “vissuto”, segnato da esperienze forti. Come può nasce una scrittura tanto “cruda” da un autore così giovane come te?

La scrittura per me è uno strumento attraverso il quale leggere, comprendere e provare a modificare la realtà che ci circonda. Io non sono stato mai propenso a fuggire dal dolore o dai problemi. Voglio sempre affrontarli e cercare di scendere nelle viscere della vita. Il vuoto intorno è la metafora di come nella vita si possa affondare, per poi riscoprire la luce e la bellezza della vita. Riprogettarsi per vivere coerentemente con se stessi.


Il tuo romanzo d’esordio è stato presentato al Premio Strega nel 2012 da grandi autori come Dacia Maraini e Paolo Ruffilli, che si sono espressi con giudizi entusiastici. A vent’anni il successo improvviso può dare alla testa: come hai vissuto questa consacrazione così precoce?

Non credo che si sia trattato di un successo tale da poter dare alla testa. È stato più che altro un percorso di crescita e di acquisizione della consapevolezza che le mie parole riuscivano davvero a toccare l'anima delle persone. La più grande felicità è stata quella di conoscere persone come Dacia Maraini, che ormai rappresenta una maestra, nonché una cara amica, e di essermi conquistato la possibilità di scrivere ancora.


Dopo “Il vuoto intorno”, hai pubblicato “Stringimi prima che arrivi la notte” (Anordest, 2013), in cui la protagonista, Alice, entra nel tunnel dell’anoressia. L’annullamento della persona per cancellare il dolore passa quindi dalla distruzione del corpo. Come hai approcciato un tema delicato e tanto attuale come quello dei disturbi alimentari?

Ho deciso di parlare di questo problema che riguarda molte persone nel mondo e di analizzare le relazioni familiari che si vengono a creare in simili casi. Mi sono documentato su questi casi e ho provato a calarmi in quella realtà per scriverne.


In “Raccontami l’amore” (Anordest, 2013) affronti il tema dell’amore cercando di liberarlo dagli stereotipi, attraverso un dialogo serrato con Paola Concia. In un Paese in cui l’omofobia dilaga e i pregiudizi sono ancora tanti, come pensi si possa favorire quel salto culturale di cui l’Italia necessita? E gli scrittori come te che ruolo hanno o possono avere in questo percorso di crescita?

Si riuscirà a fare qualcosa in questo settore solo quando l'uomo comprenderà quanto breve sia la vita e quanto poco tempo ci sia per essere felici. Gli scrittori hanno il compito fondamentale di dare voce a chi voce non ha e di guidare il cambiamento trovando le parole giuste per parlare di amore, diritti e doveri. Gli scrittori devono abituare a vedere la bellezza della vita.


Oltre che romanziere, sei anche blogger con “Just Humanity”: quali sono le differenze maggiori che riscontri tra la scrittura “tradizionale” e quella più innovativa dei blog?

Just humanity è nato dall'esigenza di poter esprimere in modo più veloce e quotidiano il mio pensiero, le mie riflessioni e le mie emozioni. La scrittura di un blog è un lavoro quotidiano e più veloce, mentre la scrittura di un libro richiede un lavoro e un impegno maggiore e più intenso. Un blog è fondamentale per comunicare informazioni dando ad esse diffusione rapida, mentre un romanzo deve costruire realtà diverse e bellezza.


Hai da poco pubblicato la raccolta di racconti “Ricordami di essere felice” (Edizioni Anordest, 2015). Prima di salutarti, siamo curiosi di sapere se qualcosa bolle in pentola: un nuovo romanzo in vista?

Io scrivo sempre, ogni giorno, nei momenti più disparati. Invento storie, scrivo pensieri, strutturo racconti. Ho da poco scritto uno spettacolo teatrale sul tema dell'omofobia e sto lavorando anche ad altri progetti. Ma è ancora troppo presto per poterne parlare. Certamente continuerò ad occuparmi di problemi sociali.



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