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martedì 10 novembre 2015

MARCO MARSULLO E I FIGLI CHE NON HANNO GENITORI

I miei genitori non hanno figli (Einaudi Stile Libero) è il nuovo romanzo di Marco Marsullo e il pretesto per parlare di questo giovane autore nel nostro scalcinato blog. 
Se hai 30 anni e pubblichi il tuo terzo romanzo è più giusto che si parli di te rispetto al musicista agli esordi che mi rimanda già al suo ufficio stampa, neanche avesse vinto svariati Grammy o realizzato l’album del secolo. Poi ho adorato il personaggio di Vanni Cascione, protagonista del suo romanzo d’esordio Atletico Minaccia Footbal Club, allenatore di provincia che sogna di diventare José Mourinho, tra campetti disastrati, calciatori improvvisati e storie di malavita ai limiti del grottesco: secondo motivo per dedicargli un post trovato! Il terzo motivo per cui scrivere di lui è un racconto sulle palline, nato in occasione della rassegna “Scritti in vetrina” (Libreria Icaro, Lecce), in cui gli autori si espongono al pubblico ed espongono l’intimo processo di creazione delle loro opere, mettendosi in vetrina appunto: surreale la situazione, più che surreale il racconto!
Come sempre quindi invio la mia e-mail di presentazione, le domande che vorrei porre e poi attendo risposte. Il più delle volte l’attesa è vana, ma non è questo il caso: quarto motivo di questo post, il più importante!





È uscito da poco il tuo nuovo romanzo “I miei genitori non hanno figli”, in cui racconti quanto è difficile avere diciotto anni oggi. I genitori che descrivi sono tutto tranne che un punto di riferimento stabile, mentre i figli sembrano molto distanti dagli “sdraiati” protagonisti dell’omonimo romanzo di Michele Serra. Trovi giusto definire il tuo romanzo “generazionale”? E cosa c’è del tuo passato di diciottenne nella storia che racconti?

In realtà non la trovo la definizione adatta, almeno nelle intenzioni. Volevo scrivere un libro che fosse di analisi per quello che riguarda la difficoltà di comunicazione che c’è tra genitori e figli, non un manifesto in difesa di una generazione piuttosto che di un’altra. Come scrittore mi interessano i conflitti non banali, quelli banali si raccontano da soli. Volevo dare voce a un ragazzo di diciotto anni che raccontasse perché, a volte, si è trovato “sdraiato”, per prendere in prestito il termine dal bel libro di Michele Serra. Del mio passato c’è qualcosa, molto in alcuni tratti, poco in altri. Ma non è così importante, infondo. Questa è una storia di ogni ragazzo e ogni genitore abbia trovato difficoltà a gestire l’amore enorme che c’è dietro l’essere figlio o padre.


Hai trovato il successo con “Atletico Minaccia Football Club”, una storia di calcio di provincia, tra campetti disastrati e boss di quartiere. Il mister Vanni Cascione, che sogna di diventare José Mourinho, è una figura epica e grottesca al tempo stesso. La passione per il calcio può ancora essere coltivata in un’epoca di scandali come quello che ha travolto la Fifa di recente? E pensi un giorno mister Cascione arriverà ad allenare il Real Madrid?

La passione per il calcio esula da chi il calcio lo infanga. Il calcio non è quello della Fifa, il calcio sono gli spalti pieni di tifosi, le domeniche passate a soffrire, le piazze dove i bambini giocano senza regole e senza orari. Cascione il Real non lo allenerà mai perché sarebbe lui a rifiutarlo, quei calciatori si allenano da soli, lui vuole una sfida vera.


Ci siamo occupati diverse volte di giovani scrittori “under 35”. Tu stesso hai trent’anni e una carriera da scrittore ed editorialista ben avviata. Qual è il consiglio che senti di dare ai tuoi coetanei e colleghi che invece lottano quotidianamente con il precariato?

Posso consigliare qualcosa ma non ponendomi come anti-precario. Precari lo siamo tutti; voglio dire, è una condizione lavorativa comunissima per chi fa il mio mestiere. Scrivere è sempre precario, altrimenti non sarebbe il lavoro bello che è. Quello che posso consigliare è di non accettare compromessi per troppo tempo, soprattutto la mancata retribuzione. È avvilente lavorare, anche scrivendo, e non essere pagati. Inaccettabile. Altro consiglio, per chi vuole scrivere romanzi, che è il mio vero mestiere, è quello di non mollare. Scrivere, sempre, finché si ha voglia di farlo. Se c’è qualcosa di buono dentro da raccontare, prima o poi esce, al cento per cento.


Durante la presentazione del tuo nuovo romanzo, hai dedicato un racconto alla tua “pallina”. Per uno scrittore meglio un amore sereno e duraturo o maledetto e ricco di complicazioni, da riversare poi su carta?

Sarò atipico, come scrittore, non lo so, ma io preferisco un amore sereno, onesto, pieno di verità, a mille giri contorti tra le fiamme dello struggimento. L’inferno ce l’ho già dentro, tutti i giorni, quando mi siedo davanti al computer. Almeno fuori, voglio godermi una discesa piena di fresco.


Un’ultima domanda: secondo te (e sii onesto) “Vita da KreTine” è un bel nome per un blog che parla anche di letteratura e non solo di storie di povere “sgarrupate” come noi?


È un nome pazzesco. Vorrei averlo pensato io. Complimenti, vivissimi.