Da
piccola desideravo più di ogni altra cosa al mondo di suonare in una band al
femminile. Sono cresciuta col mito delle Hole (anche se c’era un uomo nel
gruppo e non era Courtney Love!), ma non ho mai disdegnato la follia delle
Spice Girls. Poi ho avuto anche una fase Destiny’s Child e da grande ho
scoperto le Ronettes e le Supremes: forse il vero girl power era il loro a
pensarci bene! Tornando agli italici confini, in fase universitaria ho imparato
ad apprezzare una formazione punk rock, le Lola
And The Lovers: Lola is pissed off,
Italian Beauty, Le vocali. Chitarrista e cantautrice del gruppo era Sofia Brunetta, che nel frattempo ha
intrapreso una carriera solista e ha presentato il suo primo album Former, anticipato dai singoli Arthur and I e Low. Del punk rock delle Lola è rimasto ben poco, ma la svolta
“indie” e i richiami soul non ci lasciano indifferenti. Per capire meglio
questo cambiamento abbiamo deciso di interpellare la diretta interessata, per
parlare di Former e non solo.
Da pochissimo è uscito il tuo primo
album da solista Former, anticipato
dai singoli Arthur And I e Low. Si nota subito una differenza
notevole con il tuo passato punk rock, sia nei suoni che nei testi: Former è frutto solo di un cambiamento
musicale o anche a livello personale?
La musica è la mia vita, l’una e l’altra sono una cosa sola e
tutto ciò che scrivo è frutto di esperienze. Direi quindi che è un cambiamento
personale, che si riversa in musica.
Sei stata per anni cantautrice e
chitarrista del gruppo Lola And The
Lovers, mentre dal 2012 hai deciso di intraprendere la carriera solista:
cosa ha mantenuto la Sofia
odierna del periodo “Lola’s”? E pensi di tornare a suonare con le ragazze un
giorno?
Ho mantenuto sicuramente la voglia di fare musica perché mi fa stare
bene, mi diverte e mi apre al mondo, e poi l’amore per il live, che è sempre
stato fondamentale con le Lola.
Spero tanto di riprendere a suonare con le ragazze, e mi auguro
che avverrà presto, compatibilmente con le scelte di vita e gli impegni di ognuna.
Hai aperto i concerti di artisti “indie”
come Amor Fou, Hugo Race, A Toys Orchestra e lo scorso anno l’unica data nel
Sud Italia della cantautrice americana Cat Power: secondo te nell’epoca di
Spotify e della condivisione della musica sui social, ha ancora senso parlare
di musica indipendente? Non pensi che la rete possa “contaminarne” in qualche
modo l’autenticità?
Purtroppo, se non ci fosse la rete, in un’epoca in cui i talent
hanno monopolizzato radio e televisione, non ci sarebbe via d’uscita.
Il panorama indipendente in Italia resiste, seppur faccia meno
numeri rispetto a qualche anno fa.
A questo punto, la cosa migliore è sfruttare al massimo social e Spotify
ed utilizzarli come mezzo per promuoversi il più possibile ed entrare
nell’ottica che si devono fare molti concerti per recuperare il budget che un
tempo potenzialmente si recuperava con le vendite dei dischi. Insomma bisogna
lavorare duro e sporcarsi le mani, molto più di prima!
Hai vissuto per un anno a Montréal, una
delle capitali internazionali dell’indie rock. Provi nostalgia ripensando a
quest’esperienza di vita all’estero? E cosa hai portato nella tua musica di
quel contesto?
Provo un po’ di nostalgia, ma è stato un grande arricchimento
personale, che mi ha portato a vedere tanti aspetti in modo diverso.
Purtroppo, in un paese come l’Italia, che pensa a fare tagli
innanzitutto sulla cultura, quella più istituzionale, figuriamoci se si
riconoscerà il giusto valore alla musica indipendente.
E’ radicato nel nostro retaggio culturale, produciamo cultura per
rivenderla a due lire all’estero, oppure ce la teniamo a casa ad ammuffire,
senza garantirle la giusta tutela.
Former contiene 10
brani, tutti rigorosamente scritti in inglese: la tua scelta è dovuta alla
voglia di raggiungere un pubblico più vasto di quello italiano o dalla
difficoltà di adattamento della nostra lingua al cantautorato contemporaneo?
L’inglese è da sempre stata la mia lingua “musicale” per gli
ascolti che hanno contraddistinto la mia formazione, sin da piccola. A casa mia
si ascoltava molto jazz, ad esempio. E’ stata quindi una scelta abbastanza
naturale, non facile tuttavia, perché ho dovuto esercitarmi con la lingua, con
la pronuncia, ma un periodo all’estero mi è stato di grande aiuto. La cosa
bella dell’inglese, per me, è che nonostante sia molto meno poetico
dell’italiano, è universale. Tuttavia sperimenterò presto anche con l’italiano,
e magari anche con il francese, viste le mie origini francesi.
Per concludere, come racconteresti ai
nostri lettori Former in poche
righe?
Un melting pot di
suoni, generi e stati d’animo. 10 tracce che raccontano incontri, separazioni,
viaggi e mutamenti degli ultimi 3 anni.
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