Se
cercate un mondo privo di cattiveria e malizia, in cui ogni azione è compiuta
in maniera innocente e mai volutamente per fare del male agli altri, abitato da
personaggi naïf e vagamente nostalgici, con un senso dell’umorismo non
accessibile a tutti, allora avete il dovere morale di guardare un film di Wes Anderson. Se siete hipster, o
comunque pensate di esserlo, e vi piace la musica indie, forse l’avrete già
fatto e ve ne sarete sicuramente innamorati.
Perché guardare i film di Wes Anderson fa bene? La risposta
può essere riassunta con la descrizione di una scena. Suzy chiede a Sam un
french kiss a conclusione del loro viaggio in Moonrise Kingdom, lui
risponde con un “Let’s try” dopo aver improvvisato un goffo balletto sulle note
di Le temps de l’amour di Françoise
Hardy: musica proveniente da un giradischi a pile che la piccola Suzy ha
portato con sé fuggendo di casa, insieme al suo gatto e ai suoi libri
preferiti.
Ne I Tenembaum, un’eterea Gwyneth Paltrow interpreta il ruolo di Margot, figlia adottiva dell’avvocato Royal Tenembaum (un iconico Gene
Hackman), che decide dopo anni di riunire la sua famiglia, fingendosi affetto da
un cancro allo stomaco. Per tutta la durata del film, Margot fuma sigarette di marca Sweet
Afton, in commercio solo in Irlanda: un oggetto feticcio, come il
giradischi a pile di Suzy. Oggetto dell’amore segreto del fratellastro Richie, che tenterà il suicidio per
l’impossibilità di coltivare questo sentimento, è affetta da una depressione
cronica, che le ha impedito di coltivare il suo talento di drammaturga,
confinandola in un triste matrimonio. I Tenembaum sono un elogio alla
figura dell’inetto, del talento sprecato, del tempo perso dietro passioni
stucchevoli: solo l’amore porta sollievo, anche se vissuto segretamente, come
decideranno di fare Margot e Richie alla fine del film.
Riunire la famiglia è anche il motivo dominante de Il
treno per il Darjeeling, in cui tre fratelli, un anno dopo la morte del
padre, cercano di ricostruire il loro rapporto organizzando un viaggio in treno
in India, per raggiungere il santuario dove anni prima aveva deciso di
ritirarsi la madre. Tra i tre fratelli, il più piccolo, Jack (Jason Schwartzman), non riesce a dimenticare la sua ex
ragazza, che ha lasciato a Parigi, e passa il tempo a riascoltare di nascosto
la sua segreteria telefonica, di cui conserva ancora il codice segreto. Il
viaggio dei fratelli si conclude sulle note di Les Champs Élysées di Joe Dessin.
Dell’esplosione di colori di Grand Budapest Hotel non mi è rimasto granché: sicuramente un
piacere per gli occhi, ma della tensione emotiva dei precedenti lavori molto si
è perso, ad eccezione della Madame Céline Villeneuve Desgoffe und Taxis (Madame D.) interpretata da Tilda Swinton.
Le storie di personaggi naïf, persi nei loro pensieri,
bloccati dalla paura, dall’ansia, da sentimenti repressi, incapaci di aprirsi
al mondo e che comunicano solo nella ristretta cerchia di affetti che li
circondano, ricorrendo al viaggio come via di fuga ad una realtà che li
opprime: è questo il motivo per cui guardare un film di Wes Anderson, perché aiuta a ritrovare sé stessi nelle storie degli altri.
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