«Mamma, mi compri il costume da Sirenetta?»
«No! Le femminucce si vestono da Sirenetta, non i
maschietti! E poi ti ho già comprato il costume da Zorro, che è più bello!»
Mi ritrovai così a sei anni con quell’orrendo costume
tutto nero, 100% puro acrilico, una spada di plastica mezza storta e un paio di
baffi disegnati con l’eyeliner da mia zia, nota make up artist di feste in
maschera per bambini. Mia madre mi portò di corsa dal fotografo del paese per
una foto ricordo, che a vent’anni di distanza è ancora appesa nel salotto di
casa tra le foto della mia prima comunione e del matrimonio di mia sorella.
L’espressione del mio viso da vent’anni è sempre la stessa: triste, a un
livello di tristezza che supera persino i video in cui Beyoncé non può
dimenarsi come tanto ci piace, tipo in preda ad un attacco isterico acuto, ma
deve piangere per cinque interminabili minuti simulando disperazione.
D’altronde non volevo essere don Diego de la Vega , ma Ariel, la Sirenetta.
La settimana scorsa ho ricevuto l’invito per sabato ad
una festa in maschera in un noto locale gay, “La fava loca”. Quale occasione
migliore per realizzare il mio sogno d’infanzia, essere Ariel per una sera e
non quello stupido Zorro. Per il costume mi sono rivolto alla mia amica
Samantha, che lavora come drag queen nello stesso locale e che prontamente mi
ha fornito tutto il necessario: parrucca rosso-arancio, con retina posticcia
per fissarla ai capelli; reggipetto con simpatiche conchiglie di plastica
incorporate; coda in lamé e paillettes verde smeraldo. La condizione di
Samantha per prestarmi il prezioso costume una sola : «Cretina, se ti capita di
dover fare cosacce alla festa con un bel manzotin ricordati di togliere la
coda: guai a te se mi rovini la coda con strani fluidi corporei!»
Sabato è arrivato, la festa inizia tra due ore ma io
sono già in fibrillazione. Indosso la parrucca, il reggipetto conchigliato, mi
infilo nella coda e lì mi accorgo del problema: non riesco a muovermi!
Per
uscire di casa mi trascino aggrappandomi a qualsiasi cosa e più che una sirena
sembro un capodoglio spiaggiato. Fuori da casa mi dirigo all’ascensore: GUASTO!
Cavolo, devo scendere le scale, ma ho una coda come faccio. Scendo il primo
gradino, il secondo, al terzo la coda si impiglia nella scarpa e cado
rovinosamente. La parrucca vola, la coda si strappa e so già che se non morirò
sul colpo sarà Samantha ad uccidermi.
La festa salta, arriva un’ambulanza, il volontario mi
guarda esterrefatto, non sa cosa fare e io «Beh, cos’ha da guardare? Non ha mai
visto una Sirenetta coi baffi!»
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