Pugliese,
ma romano d’adozione. Inserito dal portale Rockit
tra i dieci nuovi cantautori italiani da tenere d'occhio. Il suo primo album Tropico
dei romantici (Volcan Records)
è un trattato sull’amore e sulle mille sfaccettature di un sentimento che si evolve
nel tempo, cambia volto e cambia le persone: malinconico in Non
deve finire, quasi cattivo in Dimmi che vuoi, ormai finito in Lontanissimo.
Personalmente,
ho sempre provato un sentimento contrastante verso il cantautorato italiano,
figlio spesso di una borghesia annoiata, più che di una rivoluzionaria voglia
di cambiare il mondo attraverso le parole in musica. Alla soglia dei
trent’anni, mentre riscoprivo la
bellezza gentile dei versi di Lauzi, Bindi, Tenco, ho imparato ad apprezzare
chi osa scrivere e cantare d’amore, da cui l’interesse per questo giovane
cantautore, “antico” nel senso buono del termine, ma attuale come il sentimento
che racconta. Parliamo di lui, di Frisino,
che abbiamo intervistato per farci raccontare del suo album d’esordio, dell’amore
per la musica e dell’amore in generale.
Tropico
dei romantici è il tuo disco di esordio. Secondo il portale
Rockit.it sei tra i dieci nuovi cantautori italiani da tenere d’occhio e la
critica ha accolto positivamente il tuo lavoro. Un ottimo inizio per un’opera
prima: cosa ne pensi? E il pubblico come sta accogliendo il tuo album?
Sono
sincero se ti dico che non mi aspettavo proprio di finire tra i dieci
cantautori scelti da Rockit! Sono
rimasto sorpreso quando l’ho letto ed ho ricevuto una serie di domande e di
richieste, che son continuate anche con le due presentazioni che ho fatto
insieme al resto della band sia a Milano all’Arci Ohibò che a Roma a Na
Cosetta.
Ogni
giorno cresce l’interesse intorno al progetto e ci sono tante cose da fare e ne
sono davvero contento: anche se è dura, è questo quello che vorrei fare sempre!
Il tema dominante del tuo disco è
l’amore, non solo quello struggente, ma anche quello felice e ricambiato. Una
scelta in contrasto con lo stereotipo del cantautore “sofferente”. L’amore che
canti è frutto di esperienze di vita? E il fatto di essere un bel ragazzo ti ha
aiutato ad essere meno “sofferente” in amore?
L’amore
è al centro di tutto e non finirà mai di essere scavato, sviscerato, indagato,
resterà sempre. L’aspetto fisico qui conta poco, quando si soffre puoi essere
anche un Adone, ma stai male come un cane e niente e nessuno, se non il ritorno
della persona amata ti possono consolare. L’aspetto fisico non conta nulla se
non ci sai fare con le persone. Per me è tutta una questione di empatia, se
scatta quella possiamo fare tutto. Lo stesso impeto lo riverso nelle canzoni,
che parlano d’amore si, perché l’amore ci salva sempre da tutto. In questo
disco ho voluto scrivere d’amore perché mi viene facile e perché mi sento
vicino a molti cantautori del passato.
Le storie che racconti nelle tue canzoni
sono ambientate in giro per l’Italia, da Milano a Lecce. Un po’ come la tua
vita, in giro per lo stivale. Cosa ti manca di più del Sud che hai lasciato? E
pensi un giorno di tornarci in pianta stabile?
Mi
mancano i colori, gli odori, il mare e le persone che amo. Ma quando posso
scappo sempre in Puglia per rigenerarmi, spero un giorno di poterci tornare,
anche se quando vivi in una grande città ti abitui anche se non vuoi ad una
serie di ritmi che diventano tuoi e il contrasto con la lentezza con cui si
svolge la vita giù da noi è forte. Vedremo.
Il cantautorato in Italia ha una lunga
tradizione. Guardando al passato, a chi ti ispiri maggiormente? E ci sono
invece giovani artisti che ti hanno influenzato e vorresti consigliarne
l’ascolto?
Ti
faccio due nomi che racchiudono un po’ tutti i miei ascolti: Paolo Conte e
Luigi Tenco. In mezzo a loro passano tutti i cantautori che ci sono stati in
Italia e che mi hanno segnato in una fase o in un periodo storico particolare. Come si fa a non amare Lauzi? O a cantare a
squarciagola “il nostro concerto” di Bindi? Ecco ai vostri lettori consiglio questi due
per cominciare.
Immagina che il disco registri un enorme
successo di pubblico: svesti i panni del cantautore “raffinato” per dedicarti
al mainstream o continui nella tua ricerca personale e musicale, anche a
scapito dei risultati raggiunti?
Resto
la persona che sono. Non mi sento raffinato, anzi il mio è un approccio più pasoliniano,
perché ho tanto da imparare e da conoscere. Questo disco non l’ho registrato
per fare successo, l’ho fatto perchè era un’esigenza che mi sono portato dietro
per anni e alla fine grazie all’incontro con il produttore Antonio Filippelli l’ho
portato a compimento. Una cosa mi auspico: quella di iniziare a fare tanti
concerti sia da solo che con la band e riuscire così a portare la mia musica in
giro il più possibile.
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