I miei genitori non hanno figli (Einaudi Stile Libero) è il nuovo romanzo di Marco
Marsullo e il pretesto per parlare di questo giovane autore nel nostro scalcinato
blog.
Se hai 30 anni e pubblichi il tuo terzo romanzo è più giusto che si parli
di te rispetto al musicista agli esordi che mi rimanda già al suo ufficio
stampa, neanche avesse vinto svariati Grammy o realizzato l’album del secolo. Poi
ho adorato il personaggio di Vanni Cascione, protagonista del suo romanzo d’esordio
Atletico Minaccia Footbal Club,
allenatore di provincia che sogna di diventare José Mourinho, tra campetti
disastrati, calciatori improvvisati e storie di malavita ai limiti del
grottesco: secondo motivo per dedicargli un post trovato! Il terzo motivo per
cui scrivere di lui è un racconto sulle palline, nato in occasione della
rassegna “Scritti in vetrina” (Libreria Icaro, Lecce), in cui gli autori si
espongono al pubblico ed espongono l’intimo processo di creazione delle loro
opere, mettendosi in vetrina appunto: surreale la situazione, più che surreale
il racconto!
Come
sempre quindi invio la mia e-mail di presentazione, le domande che vorrei porre
e poi attendo risposte. Il più delle volte l’attesa è vana, ma non è questo il
caso: quarto motivo di questo post, il più importante!
È uscito da poco il tuo nuovo romanzo “I
miei genitori non hanno figli”, in cui racconti quanto è difficile avere
diciotto anni oggi. I genitori che descrivi sono tutto tranne che un punto di
riferimento stabile, mentre i figli sembrano molto distanti dagli “sdraiati”
protagonisti dell’omonimo romanzo di Michele Serra. Trovi giusto definire il
tuo romanzo “generazionale”? E cosa c’è del tuo passato di diciottenne nella
storia che racconti?
In
realtà non la trovo la definizione adatta, almeno nelle intenzioni. Volevo
scrivere un libro che fosse di analisi per quello che riguarda la difficoltà di
comunicazione che c’è tra genitori e figli, non un manifesto in difesa di una
generazione piuttosto che di un’altra. Come scrittore mi interessano i conflitti
non banali, quelli banali si raccontano da soli. Volevo dare voce a un ragazzo
di diciotto anni che raccontasse perché, a volte, si è trovato “sdraiato”, per
prendere in prestito il termine dal bel libro di Michele Serra. Del mio passato
c’è qualcosa, molto in alcuni tratti, poco in altri. Ma non è così importante,
infondo. Questa è una storia di ogni ragazzo e ogni genitore abbia trovato
difficoltà a gestire l’amore enorme che c’è dietro l’essere figlio o padre.
Hai trovato il successo con “Atletico
Minaccia Football Club”, una storia di calcio di provincia, tra campetti
disastrati e boss di quartiere. Il mister Vanni Cascione, che sogna di
diventare José Mourinho, è una figura epica e grottesca al tempo stesso. La
passione per il calcio può ancora essere coltivata in un’epoca di scandali come
quello che ha travolto la Fifa
di recente? E pensi un giorno mister Cascione arriverà ad allenare il Real
Madrid?
La
passione per il calcio esula da chi il calcio lo infanga. Il calcio non è
quello della Fifa, il calcio sono gli spalti pieni di tifosi, le domeniche
passate a soffrire, le piazze dove i bambini giocano senza regole e senza
orari. Cascione il Real non lo allenerà mai perché sarebbe lui a rifiutarlo,
quei calciatori si allenano da soli, lui vuole una sfida vera.
Ci siamo occupati diverse volte di
giovani scrittori “under 35” .
Tu stesso hai trent’anni e una carriera da scrittore ed editorialista ben
avviata. Qual è il consiglio che senti di dare ai tuoi coetanei e colleghi che
invece lottano quotidianamente con il precariato?
Posso
consigliare qualcosa ma non ponendomi come anti-precario. Precari lo siamo
tutti; voglio dire, è una condizione lavorativa comunissima per chi fa il mio
mestiere. Scrivere è sempre precario, altrimenti non sarebbe il lavoro bello
che è. Quello che posso consigliare è di non accettare compromessi per troppo
tempo, soprattutto la mancata retribuzione. È avvilente lavorare, anche
scrivendo, e non essere pagati. Inaccettabile. Altro consiglio, per chi vuole
scrivere romanzi, che è il mio vero mestiere, è quello di non mollare.
Scrivere, sempre, finché si ha voglia di farlo. Se c’è qualcosa di buono dentro
da raccontare, prima o poi esce, al cento per cento.
Durante la presentazione del tuo nuovo
romanzo, hai dedicato un racconto alla tua “pallina”. Per uno scrittore meglio
un amore sereno e duraturo o maledetto e ricco di complicazioni, da riversare
poi su carta?
Sarò
atipico, come scrittore, non lo so, ma io preferisco un amore sereno, onesto,
pieno di verità, a mille giri contorti tra le fiamme dello struggimento.
L’inferno ce l’ho già dentro, tutti i giorni, quando mi siedo davanti al
computer. Almeno fuori, voglio godermi una discesa piena di fresco.
Un’ultima domanda: secondo te (e sii
onesto) “Vita da KreTine” è un bel nome per un blog che parla anche di
letteratura e non solo di storie di povere “sgarrupate” come noi?
È
un nome pazzesco. Vorrei averlo pensato io. Complimenti, vivissimi.
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