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martedì 27 ottobre 2015

FRISINO, L'AMORE E IL SUO "TROPICO DEI ROMANTICI"

Pugliese, ma romano d’adozione. Inserito dal portale Rockit tra i dieci nuovi cantautori italiani da tenere d'occhio. Il suo primo album Tropico dei romantici (Volcan Records) è un trattato sull’amore e sulle mille sfaccettature di un sentimento che si evolve nel tempo, cambia volto e cambia le persone: malinconico in Non deve finire, quasi cattivo in Dimmi che vuoi, ormai finito in Lontanissimo.
Personalmente, ho sempre provato un sentimento contrastante verso il cantautorato italiano, figlio spesso di una borghesia annoiata, più che di una rivoluzionaria voglia di cambiare il mondo attraverso le parole in musica. Alla soglia dei trent’anni, mentre  riscoprivo la bellezza gentile dei versi di Lauzi, Bindi, Tenco, ho imparato ad apprezzare chi osa scrivere e cantare d’amore, da cui l’interesse per questo giovane cantautore, “antico” nel senso buono del termine, ma attuale come il sentimento che racconta. Parliamo di lui, di Frisino, che abbiamo intervistato per farci raccontare del suo album d’esordio, dell’amore per la musica e dell’amore in generale.





Tropico dei romantici è il tuo disco di esordio. Secondo il portale Rockit.it sei tra i dieci nuovi cantautori italiani da tenere d’occhio e la critica ha accolto positivamente il tuo lavoro. Un ottimo inizio per un’opera prima: cosa ne pensi? E il pubblico come sta accogliendo il tuo album?

Sono sincero se ti dico che non mi aspettavo proprio di finire tra i dieci cantautori scelti da Rockit! Sono rimasto sorpreso quando l’ho letto ed ho ricevuto una serie di domande e di richieste, che son continuate anche con le due presentazioni che ho fatto insieme al resto della band sia a Milano all’Arci Ohibò che a Roma a Na Cosetta.
Ogni giorno cresce l’interesse intorno al progetto e ci sono tante cose da fare e ne sono davvero contento: anche se è dura, è questo quello che vorrei fare sempre!


Il tema dominante del tuo disco è l’amore, non solo quello struggente, ma anche quello felice e ricambiato. Una scelta in contrasto con lo stereotipo del cantautore “sofferente”. L’amore che canti è frutto di esperienze di vita? E il fatto di essere un bel ragazzo ti ha aiutato ad essere meno “sofferente” in amore?

L’amore è al centro di tutto e non finirà mai di essere scavato, sviscerato, indagato, resterà sempre. L’aspetto fisico qui conta poco, quando si soffre puoi essere anche un Adone, ma stai male come un cane e niente e nessuno, se non il ritorno della persona amata ti possono consolare. L’aspetto fisico non conta nulla se non ci sai fare con le persone. Per me è tutta una questione di empatia, se scatta quella possiamo fare tutto. Lo stesso impeto lo riverso nelle canzoni, che parlano d’amore si, perché l’amore ci salva sempre da tutto. In questo disco ho voluto scrivere d’amore perché mi viene facile e perché mi sento vicino a molti cantautori del passato.


Le storie che racconti nelle tue canzoni sono ambientate in giro per l’Italia, da Milano a Lecce. Un po’ come la tua vita, in giro per lo stivale. Cosa ti manca di più del Sud che hai lasciato? E pensi un giorno di tornarci in pianta stabile?

Mi mancano i colori, gli odori, il mare e le persone che amo. Ma quando posso scappo sempre in Puglia per rigenerarmi, spero un giorno di poterci tornare, anche se quando vivi in una grande città ti abitui anche se non vuoi ad una serie di ritmi che diventano tuoi e il contrasto con la lentezza con cui si svolge la vita giù da noi è forte. Vedremo.


Il cantautorato in Italia ha una lunga tradizione. Guardando al passato, a chi ti ispiri maggiormente? E ci sono invece giovani artisti che ti hanno influenzato e vorresti consigliarne l’ascolto?

Ti faccio due nomi che racchiudono un po’ tutti i miei ascolti: Paolo Conte e Luigi Tenco. In mezzo a loro passano tutti i cantautori che ci sono stati in Italia e che mi hanno segnato in una fase o in un periodo storico particolare.  Come si fa a non amare Lauzi? O a cantare a squarciagola “il nostro concerto” di Bindi?  Ecco ai vostri lettori consiglio questi due per cominciare.


Immagina che il disco registri un enorme successo di pubblico: svesti i panni del cantautore “raffinato” per dedicarti al mainstream o continui nella tua ricerca personale e musicale, anche a scapito dei risultati raggiunti?


Resto la persona che sono. Non mi sento raffinato, anzi il mio è un approccio più pasoliniano, perché ho tanto da imparare e da conoscere. Questo disco non l’ho registrato per fare successo, l’ho fatto perchè era un’esigenza che mi sono portato dietro per anni e alla fine grazie all’incontro con il produttore Antonio Filippelli l’ho portato a compimento. Una cosa mi auspico: quella di iniziare a fare tanti concerti sia da solo che con la band e riuscire così a portare la mia musica in giro il più possibile.



mercoledì 21 ottobre 2015

L’INSOSTENIBILE PESANTEZZA DI UN CAPODANNO NEOMELODICO

Ebbene sì, la profezia dei Maya sulla fine del mondo era vera!
Quei mattacchioni che altro non sono dei Maya, avevano solo toppato la data e il luogo da cui l’Apocalisse sarebbe partita per giocare uno scherzone all’umanità intera. La data esatta della fine del mondo è il 31 dicembre 2015 e tutto avrà inizio dalla città di Lecce.

Stando agli studi condotti dal grande astronomo peruviano Quittelammolla, noto per la sua propensione a predire catastrofi poi realmente verificatesi (lo scioglimento dei Take That, la fine di Beverly Hills 90210 e il successo di Antonella Clerici), un enorme cratere si aprirà allo scoccare della mezzanotte nella città salentina, al risuonare delle note di “Miele” (che poi diventa sale, se siamo in riva al mare) e inghiottirà l’umanità intera.
In una grotta nei pressi di Quito, è stato di recente ritrovato un antico pittogramma che ritrae un uomo pelato dai tratti tipicamente partenopei, accompagnato da una donna dai lunghi capelli neri e il trucco pesante, con nelle mani un oggetto che parrebbe essere un microfono. Di fronte a loro una folla festante, con abiti di dubbio gusto. La scena si svolge in una piazza sovrastata da un obelisco, sulla cui sommità è posizionata la statua di un uomo barbuto dallo strano cappello (il folletto Memole?). Da una serie di riscontri effettuati dai Centri dimagranti Sorbino, noti per la precisione certosina nell’effettuare riscontri su antichi pittogrammi Maya, la città rappresentata da Quittelammolla sarebbe proprio Lecce e l’uomo pelato dai tratti partenopei Gigi D’Alessio. Gli unici dubbi riguardano l’identità della donna dal trucco pesante, i cui tratti sarebbero riconducibili a diversi soggetti.
Gli studiosi hanno elaborato due teorie per spiegare la profezia:

1.      in seguito alla visita nella città da parte di tale Alberto Angela e del proliferare su Facebook di post sulle bellezze “te lu SALENTU”, Mark Zuckerberg avrebbe speso una parte del suo ingente patrimonio per convincere il noto neomelodico a scegliere il capoluogo salentino come sede del suo concerto di Capodanno, esclamando la celebre frase “AND NOW, THESE ARE YOUR COCKS”, difficilmente traducibile in italiano. Il già fragile ecosistema locale non avrebbe quindi retto agli acuti malriusciti, da cui l’Apocalisse;

2.      nel 1998 la città di Matera decise di investire tutti i fondi destinati alla costruzione della sua prima stazione ferroviaria in dischi di un esordiente cantante napoletano, che schizzò quindi in cima alle classifiche nazionali con grande sorpresa di tutti. In futuro, avrebbero utilizzato il partenopeo come arma di distruzione di massa contro i nemici. Come la Corea del Nord lancerebbe volentieri i suoi missili nucleari contro gli odiati cugini del Sud, così Matera avrebbe quindi scagliato Gigi D’Alessio contro i nemici leccesi, colpevoli di sfottò continui sulle sue “petre” in occasione della candidatura di entrambe le città a “Capitale europea della cultura”. I materani non sapevano però che il cratere creatosi in quel di Lecce avrebbe inghiottito anche loro e il genere umano tutto.


Data l’elevata attendibilità della profezia Maya e la certezza della presenza del noto neomelodico, si consiglia vivamente di eliminare la città di Lecce come luogo in cui festeggiare con allegria il proprio Capodanno: meglio il trenino con “A, E, I, O , U…IPSILON” di Pescasseroli!



mercoledì 14 ottobre 2015

LA MALEDIZIONE DELLA NOTA VOCALE

Più fastidiose degli squilli, di cui rappresentano l’indegna evoluzione. Simpatiche come un riccio dagli aculei ritti infilato nelle mutande durante l’ora di crossfit. Generalmente hanno un’utilità prossima allo zero, pari a quella delle riflessioni sui grandi temi di attualità di Flavia Vento (l’egittologa) su Twitter. Oggi parliamo di loro: le note vocali!
Se Mosé avesse tentato la fuga dall’Egitto oggi, Dio le avrebbe inserite tra le dieci piaghe al posto delle ulcere su umani e animali: cosa sono delle “simpatiche” piaghe sul corpo in confronto a minuti interminabili di monologhi basati sul nulla?
Leggenda vuole che le noti vocali siano una creazione del demonio: invocato per sbaglio da Paolo Brosio durante la scrittura di uno dei suoi libri su Medjugorie per dare un tocco di pepe al racconto, punì il genere umano tutto con la maledizione dei messaggi vocali registrati!
La verità è che quando riceviamo una nota vocale, magari in risposta a una semplice domanda tipo “cosa mangi?” o “sta piovendo?”, il pensiero comune è sempre lo stesso: “perché a me? PERCHÉ?”.

Tra la miriade di note vocali che riceviamo quotidianamente, tre sono quelle che più odiamo:

1.      la nota vocale fiume, (durata minima stimata 5 minuti), ovvero un monologo in cui non è prevista alcuna possibilità di risposta, ad accezione di un “ok”, spesso rappresentato con l’iconico pollice ritto. La verità è che nessuno ascolta note vocali che superano i 30 secondi, al massimo si ascoltano a tratti e mentre si fanno attività a cui si presta maggiore attenzione. Quasi sempre la nota vocale fiume non viene nemmeno scaricata e si cerca di coglierne il contenuto chiedendo informazioni alle persone che hanno avuto il coraggio di ascoltarle. Per chi è solito inviare note vocali di tale durata, il consiglio è solo uno e si riassume in una sola parola: SINTESI!!!

2.      la nota vocale interrotta, (durata media 1 minuto), è quella che vorresti tanto ascoltare, perché si presuppone sia pregna di significati e di contenuti a cui sei realmente interessato, ma nel momento clou si interrompe, lasciandoti quella sensazione di amarezza che provi soltanto quando una puntata della tua serie preferita si conclude con “il tuo vero padre è…TITOLI DI CODA!”. In genere l’interruzione è dovuta ad un incauto utilizzo dello smartphone, al pollice che scivola via o all’entrata di orecchie sgradite nella stanza in cui si sta registrando. Il consiglio in questo caso è uno soltanto: come durante un rapporto sessuale, cercate di concludere! 

3.      la nota vocale musicale, (durata media 3 minuti), consiste nell’invio di una canzone, romantica per l’innamorato/a, demenziale o trash per le amiche KreTine. Nell’universo dei messaggi vocali, sono le meno fastidiose. Il problema è che spesso sono accompagnate da quel simpatico fruscio di sottofondo che rende impossibile capire se trattasi di un capolavoro dei Beatles o dell’ultima hit stracciapalle di Alessandra Amoroso. Se volete dedicare una canzone, evitate quindi di registrarla live, ma scaricatene il file e inviatelo: solo così il senso della nota verrà recepito correttamente dal destinatario!


Fiume, interrotta o musicale che sia, non fa alcuna distinzione per me: le odio tutte indistintamente! Piuttosto l’ascolto dell’intera messa trasmessa su Rai Uno la domenica mattina, con emicrania da postumi del sabato sera, ma alle note vocali (come ai grassi e ai colpi di sole) dico NO!